Gli Arbëreshë anche dopo cinque secoli lontano dalla Madrepatria e trapiantanti nel sud d’Italia e in Sicilia, continuano a mantenere viva la loro lingua albanese, nonché il rito bizantino, le tradizioni ed gli usi, mostrandosi del tutto cittadini italiani, ma di stirpe e provenienza etnica diversa.
Il nodo del miracolo arbëresh non è altro che il livello della conservazione della lingua, amore ed attaccamento per l’attività culturale e sociale, dove si rispecchia chiaramente la coscienza nazionale e l’obbiettivo di mantenere i legami con l’Albania.
In primo luogo rimane sempre il sentimento etnico, l’albanesità, che si esprime essenzialmente nel parlare l’idioma degli avi. Sempre più questo sentimento va oggi negli sforzi per imparare a scriverla, conservando così le proprie antiche parlate albanesi locali, ma assimilando la lingua letteraria albanese unificata e comune per tutti gli albanesi ovunque si trovino, dentro e fuori dalla frontiera d’Albania. La lingua albanese per gli italo-albanesi serve come mezzo di comunicazione nell’ambito del paese o cittadina, cioè nell’ambito proprio arbëresh, nonché come mezzo insostituibile per l’autoconservazione etnica, come strumento di sviluppo e di progresso culturale, che va nella scia delle più alte tradizioni nazionali.
La forte coscienza a un’identità etnico-linguistica diversa è sempre presente nelle produzioni folcloristiche. Nel folclore, in tutte le sue diversificate forme, emerge sempre un costante richiamo alla patria di origine e i canti, popolari o religiosi, le leggende, i racconti, i proverbi, trasudano un forte spirito di comunanza e solidarietà etnica.
La coscienza di appartenere a una stessa etnia, ancorché dispersa e disgregata, si coglie tra l’altro in un motto molto diffuso, che i parlanti albanesi spesso ricordano quando di incontrano: Gjaku ynë i shprishur, che tradotto letteralmente è “il Sangue nostro sparso”. Mantenendo chiara e sensibile la coscienza di essere fratelli nel sangue comune e nella fede cristiana, costituendo un’oasi di spiritualità orientale trapiantata in Occidente, usano così identificarsi come discendenti di una stirpe dispersa ma non distrutta.